“Rispecta sos mortos et time sos bios. Venera i morti e temi i vivi.” Antico detto sardo
È da qualche anno che anche qui in Sardegna, il 31 ottobre e i primi di novembre, si festeggia Halloween, ci si traveste da scheletri, zombie, mostri, streghe e si addobbano le case con grandi zucche intagliate.
Ma quando ero bambina io, negli anni ’90, i giorni dei Morti e di Tutti i Santi erano vissuti in modo completamente diverso, con dei riti appartenenti alla nostra cultura e al nostro passato, legati a leggende e a storie di anime e cibo.
Quando ero bambina io, qui in provincia di Oristano, nello specifico a Solarussa, ci si travestiva da Maria Pintaoru, in alcuni paesi chiamata Maria Puntaoru, e si andava in giro per le case del paese con indosso gli abiti delle nonne, una gonnella lunga e scura, uno scialle e su muccadori (fazzoletto) sulla testa. Bussavamo casa per casa, non a chiedere ‘dolcetto o scherzetto’ ma monete, frutta secca, castagne, mandarini e qualche dolce.
Maria Pintaoru era una figura misteriosa e paurosa. La leggenda racconta che la donna, oltre a essere particolarmente brutta, fosse anche molto povera e che a causa di questo morì di fame, letteralmente.
Noi bambini re-interpretavamo la sua storia e chi ci apriva la porta non poteva rifiutarsi di regalarci un po’ di cibo… guai a dir di no a un’anima affamata!
Per saperne di più su Maria Pintaoru, vi rimando a questo articolo, che dà una versione un po’ diversa rispetto a ciò che i miei nonni mi hanno raccontato, ma comunque molto simile. In altri paesi, infatti, la tradizione vuole che la porta di casa si lasci sempre aperta la notte tra il trentuno ottobre e il primo di novembre.
La tavola deve rigorosamente essere apparecchiata in modo che lei possa entrare e sfamarsi in tutta tranquillità. Se non trova ospitalità e accoglienza, con il suo affilato spiedo, buca la pancia dei bambini per cibarsi di ciò che loro hanno mangiato.Questo era un modo per venerare i morti.
Ma non finisce qua. La notte del primo novembre, in molte case si fa tutt’ora, si imbandiva la tavola anche per i familiari defunti. Un piatto di pasta, un cesto con noci, noccioline, mandorle, fichi secchi, uva passa, una bottiglia di vino e gli immancabili papassini, i dolci tipici di quei giorni. Sì perché, in Sardegna, ogni festa ha i suoi dolci tipici.
E già a metà ottobre, le donne si riuniscono e iniziano a impastare, infornare e decorare questi squisiti dolci fatti di farina, uova, mandorle, noci e uva passa e decorati con glassa e diavoletti colorati. In alcune zone a tutto ciò si aggiunge nell’impasto, anche la marmellata e ‘sa sapa’, composto liquido ottenuto dalla bollitura del mosto con bucce d’arancia, in altre anche melacotogna. Insomma, come ogni cosa qui in Sardegna, ogni paese ha la sua versione.
E tutto ciò accadeva fino a 20 anni fa e ne parlo con piacere ma anche con una punta di malinconia per una tradizione che sta via via sparendo. È da tanto che a casa mia non bussano bambini vestiti da Maria Pintaoru.
di Giulia Madau
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