La Sardegna è una terra di antiche tradizioni e riti magici e suggestivi che si perpetuano con continuità e orgoglio fin dalla notte dei tempi.
Qui, ogni festa ha un suo sapore particolare e intenso, forte come le mani delle donne che, con saggezza e una bravura quasi innata, preparano con cura e dovizia pani e dolci votivi, come delle opere d’arte tutte da gustare.
E si assaporano con attenzione per non rovinarle, tanto sono belle e delicate.
E io svariate volte ho provato a chiedere a mia nonna la ricetta dei gueffus, dei biscotti pistoccus o delle formaggelle.
Lei mi dettava gli ingredienti, ma non le quantità, “quelle le fai a occhio” mi diceva in modo così naturale, come se fosse una cosa talmente normale e scontata, che io neanche insistevo.
A proposito di dolci tipici, la notte di Sant’Antonio si avvicina e in molte case sarde le donne avranno già iniziato a preparare le loro squisitezze per offrirle e mangiarle tutti insieme attorno al fuoco che verrà acceso in onore al Santo tra il 16 e il 17 gennaio.
Tra i dolci tipici di Sant’Antonio troviamo le cotzuleddas, i pirichittus e il pistiddu.
Per le prime sono necessari 100 g di farina, mezza arancia, zenzero e cannella, 1 cucchiaio di miele di castagno e 1 e mezzo di sugna (strutto), 50 g di noci e 25 di mandorle dolci, 25 g di semola.
Si inizia facendo sbollentare le mandorle. Dopo si scolano, si pelano e si fanno asciugare dentro il forno tiepido, senza farle dorare. Nel mentre si lavora la farina con lo strutto per ottenere un impasto liscio e morbido. Si stende la sfoglia e si taglia a rettangoli.
Si spezzetta in modo sottile anche la scorza d’arancia e si mette a bollire più volte. In un tegame a parte si scalda il miele vi si versa la semola, mescolando continuamente in modo da non formare fastidiosi grumi.
Dopodiché si aggiungono le mandorle e le noci tritate, le scorzette d’arancia, la cannella e lo zenzero. Infine si farciscono i rettangoli di pasta con il composto, conferendo ai dolcetti la forma che si vuole.
Chiuderli e infornarli a 220 gradi, per 15 minuti.
Per i pirichittus ci sono diverse versioni, diversi tipi di dolci e quindi molteplici ricette. Ho scelto la seguente.
Gli ingredienti sono 500 g di farina, zucchero (200 g e 5-6 cucchiai), limone (scorza e succo) e 10 uova.
Presa da qui.
Il procedimento si inizia immergendo lo zucchero in mezzo litro di acqua fredda mischiata con il succo di limone. Si fa bollire il tutto e si versa il mezzo kilo di farina mescolando in continuazione ed energicamente per circa 15 minuti.
Dopo aver ottenuto una pasta liscia e compatta, si sbattono le uova e si uniscono all’impasto un poco alla volta, senza mai smettere di mescolare. Si prende l’impasto e si modellano tante piccole palline, come polpette.
Si fanno cuocere per circa mezz’ora a 120, massimo 150 gradi. Nel frattempo si prepara la glassa facendo cuocere per pochi muniti lo zucchero in mezzo bicchiere d’acqua aromatizzata con il limone grattugiato.
Si immergono le palline nella glassa bollette ed ecco a voi i pirichittus.
Infine c’è il pistiddu. La ricetta che ho trovato è di Oliena (postata da una donna del paese in un forum online).
La pasta si fa con semola di grano duro (500 g) unita allo strutto o a margarina (100 g). Si aggiungono 100 g di zucchero, un pizzico di sale e mezzo cubetto di lievito di birra sciolto in un po’ d’acqua tiepida.
Si mescola il tutto e si lascia riposare.
Il ripieno può essere di sapa (miele d’uva) o miele normale. In questa ricetta si utilizza il primo (1 l). Si diluisce con d’acqua e si fa bollire, versando a pioggia 2 etti di semola e la scorza di 2 o 3 arance.
Si fa cuocere finché si addensa e assume la consistenza di una marmellata. Si lascia raffreddare.
Immagine presa da qui.
Nel mentre si prende la pasta e se ne ricavano dei panetti che andranno riempiti con il ripieno e poi coperti con un’altra sfoglia. Il consiglio è di farli del diametro di 18-20 cm. Per essere mangiati si tagliano a fette.
Si cuociono in forno un quarto d’ora a circa 170 gradi.
Ovviamente ogni paese ha le sue ricette e ogni donna il suo segreto.
Qui abbiamo scelto queste ma se ne avete altre fatecele avere. Noi abbiamo già l’acquolina in bocca e per ora vi auguriamo buon appetito.
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Diciamo che anche questi piccoli gioielli della cucina rendono unica la Sardegna e ci fanno sospirare mentre li gustiamo soddisfatti che nulla è come la Sardegna.
di Giulia Madau